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Il percorso dal gioco sociale al gioco patologico
Non è il semplice incontro con il gioco che porta necessariamente all’evoluzione di un
quadro patologico, in quanto sono necessari diversi elementi per trasformare una innocua
attività in una condotta di dipendenza. La dipendenza è infatti sempre la risultante di un
processo che vede il concorso e l’interazione di fattori diversi legati alla persona (bio-
logici, psicologici, fasi evolutive), al contesto microsociale (famiglia, ambiente di vita),
macrosociale (momento storico, culturale, economico) ed all’incontro con una sostanza
o la sperimentazione di un comportamento: in questo caso il gioco. Tuttavia nei percorsi
delle persone che hanno sviluppato problemi con il gioco è possibile riscontrare una insi-
diosa e spesso silenziosa evoluzione del quadro dall’incontro con il gioco alla vera e pro-
pria compulsività. Secondo Custer (1982, 1984) la prima fase del percorso (denominata
vincente) vede un gioco occasionale caratterizzato dal desiderio di divertirsi, di distrarsi,
di vincere, di trascorrere il tempo. In tale fase le vincite appaiono frequenti e facili e le
perdite irrilevanti. Si manifesta l’eccitazione legata al gioco e la sensazione di “potere
smettere quando si vuole”. A questa fase subentra una fase perdente caratterizzata da
un gioco sempre più solitario e con episodi di perdite sempre più rilevanti. In tale fase il
gioco appare sempre più monopolizzare il pensiero e le preoccupazioni del soggetto. Le
assenze e la mancanza di denaro risultano sempre più difficili da sostenere e la rabbia, la
depressione, l’irritabilità sono crescenti. Il denaro chiesto in prestito finisce presto e le
vincite vengono reinvestite nel gioco dove diventa necessario rischiare maggiormente e
scommettere su combinazioni e tipi di giochi che promettono maggiori guadagni, anche
se con minori probabilità. E’ in questa fase che si rischia di ricorrere a prestiti a tasso di
usura per potere fare fronte alla necessità di giocare. Il giocatore chiede sempre più denaro
ma risulta incapace di risarcire i debiti contratti e si innesca a questo punto la fase della
rincorsa della perdita dove il ricorso al gioco è giustificato dalla necessità di potersi rifare
del denaro perso. Tutto ciò porta il soggetto a giocare sempre di più , a chiedere prestiti ed
a raccontare e raccontarsi che recuperato il denaro perso - con la vincita che non mancherà
– non giocherà più. Il rischio di escalation può essere pericolosamente aumentato da tanti
fattori tra i quali, ad esempio, la sensazione di “avvicinarsi” alla vincita. Magari ci si era
promessi di giocare pochi soldi e per poco tempo, i soldi sono stati persi ed il tempo pre-
fissato è finito, ma si continua a giocare. E quando subentra anche la più piccola vincita
questa viene colta come una conferma del fatto che “le cose cominciano a girare” e sia
necessario continuare a giocare sempre più per recuperare il denaro perso. Tale rincorsa
diventa sempre più intensa ed assillante ed anche quando finisce la sessione di gioco -più
spesso per mancanza di denaro che per decisione - il pensiero ritorna al gioco. I numeri,
le combinazioni, le ricorrenze, si trasformano da entità astratte a elementi che si pensa di
potere controllare e prevedere ed il mondo del gioco con le sue complicità e giustifica-
zioni diventa gradualmente un’isola, una fuga dalla vita reale e dalla quotidianità. La vita
“normale” - sempre più caratterizzata da debiti, dalle incomprensioni della famiglia, dal
lavoro che si trascura, dai problemi che si rimandano e che si amplificano, dalla perdita
di fiducia e di stima - diventa sempre più svalutante e problematica. Mentre il mondo del
gioco con le sue complicità e le sue giustificazioni - anche grazie agli alterni anche se
ininfluenti momenti di fortuna - diviene sempre più il mondo “vero”, quello per il quale
vale la pena di vivere, di rischiare, di insistere e soffrire. Il senso di colpa e di fallimento
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