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vengono negati, razionalizzati o giustificati dal pensiero di potersi rifare e poterne uscire
“da vincitore” come se fosse una sorta di riscatto. Ma il continuare in questa strada non
può che portare alla fase della disperazione. Tale fase può presentare acuti momenti di
angoscia e di rischio di suicidio legati alla presa di coscienza dei problemi economici e
relazionali, ma nonostante si comprenda la gravità della situazione, raramente si riesce
ad abbandonare il gioco. E’ in questa fase che il giocatore rischia di assumere comporta-
menti incompatibili con i precedenti valori morali arrivando anche a compiere “piccoli
reati” o distrazioni di denaro che tuttavia possono essere considerati come un prestito che
poi sarà restituito. A questo punto si aprono quattro diverse possibilità: la carcerazione, la
fuga, il suicidio o la richiesta di aiuto anche se spesso tali diverse eventualità si presenta-
no alternativamente e la costante rischia di rimanere il continuare a giocare o il ricadere
nel gioco. Certamente, e va ricordato con molta chiarezza, non tutti coloro che giocano
d’azzardo vanno incontro ad una evoluzione di tale natura. Tuttavia, i casi di evoluzione
patologica sono sempre più frequenti e si calcola che il gioco patologico e problematico
possa colpire dal 3 al 6% della popolazione adulta. La realtà che si sta infatti presentando
in misura crescente tuttavia poco ha a che fare con una rappresentazione sociale secondo
la quale il gioco d’azzardo sarebbe un fenomeno circoscritto in ambiti ben precisi, abitati
da “eroi scellerati o decadenti ”: avventurieri, personaggi estremi e lontani dalle esistenze
e dai problemi delle persone comuni. La realtà che ci si trova di fronte è per molti aspetti
molto più normale e banale e coinvolge in maniera pesante e distruttiva ceti sociali bassi,
soggetti vulnerabili, aree di emarginazione.
Un tema molto forte e che divide gli studiosi è se il gioco d’azzardo debba essere considerato
un comportamento di addiction o meno (Croce 2003). Al di là delle diverse interpretazioni
da parte degli studiosi va tuttavia segnalato come esso appaia come patologia riconosciuta
sia dal DSM (che lo comprende a partire dalla terza versione del 1980) sia dall’ICD-10.
Alcuni costi sociali del gioco d’azzardo
I costi sociali del gioco d’azzardo patologico interessano diversi capitoli (Politzer, Mor-
row, Leawey 1981, Bianchetti, Croce, 2007). Innanzitutto, come si è già accennato, forte-
mente coinvolta risulta la sfera delle relazioni familiari. Similmente infatti ad altre forme
di dipendenza i costi, le sofferenze, i disagi, non sono pagati solamente dalla persona
coinvolta ma anche dai suoi cari, che debbono affrontare crisi economiche, convivere
con un senso di impotenza, di sfiducia. Tutto ciò non raramente porta a crisi coniugali, a
separazioni o divorzi. I figli dei giocatori patologici , anch’essi coinvolti nella spirale dei
debiti, spesso assistono a conflitti familiari e rischiano di “adultizzarsi precocemente”,
preoccupandosi dei problemi del genitore, sottraendogli promesse di smettere di giocare.
Ma anche nel giocatore la modificazione del ritmo sonno/veglia, il forte stress dovuto alle
molte ore trascorse a giocare non può che non avere conseguenze sul piano della salute.
Frequenti sono infatti i periodi di profonda depressione, di forte nervosismo, di paura, e
forte è anche il rischio di suicidio. Farmaci vengono assunti per malesseri secondari al
gioco d’azzardo ed altri sintomi “stress related” quali difficoltà di memoria e concentra-
zione, disordini intestinali, emicrania, sono stati segnalati da diversi studiosi, come pure
è stata segnalata in alcuni giocatori una vera e propria sindrome di astinenza con sintomi
quali dolori addominali, tremori, mal di testa, diarrea, sudori freddi, ecc.
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