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minori compresi nella casistica in oggetto. S’impongono quindi misure di tutela e salva-
          guardia della salute, che devono scaturire da una valutazione clinica approfondita e allo
          stesso tempo condotta in tempi brevi, volta a far emergere non solo i fattori di rischio (indi-
          catori di una potenziale patogenicità di una situazione interattiva, relazionale, personale) che
          rendono pregiudizievole la situazione, ma anche e soprattutto le risorse, i fattori protettivi,
          che possono contribuire alla modificazione delle traiettorie di rischio. L’intervento psicolo-
          gico, all’interno dell’equipe curante, è perciò fondamentale in quanto consente di privilegiare
          una prospettiva promozionale che sfruttando le risorse rintracciabili nel contesto, favorisca
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          lo sviluppo della resilienza , permettendo un depotenziamento e disinnesco del potenziale
          patogenetico dell’evento traumatico. Nelle situazioni di abuso all’infanzia, la valutazione
          diagnostica può essere definita come il “…percorso teso a valutare il quadro complessivo
          della situazione traumatica nei suoi aspetti individuali, relazionali, il grado di assunzione
          di responsabilità da parte degli adulti coinvolti e le risorse disponibili nel contesto ”.
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          Nel corso della valutazione diagnostica è quindi fondamentale assicurare al bambino la
          legittimazione del ruolo di “vittima” come necessario superamento della confusione dei
          ruoli e delle responsabilità tra chi subisce il danno e chi ne è l’autore, evitare interpreta-
          zioni che diano motivazioni e giustificazioni all’autore dell’abuso e valutando il danno
          subìto attraverso il racconto del bambino dando piena credibilità alla sua soggettività e
          alla sua esperienza.

          La valutazione deve essere estesa a tre aree fondamentali:


           indicatori e segni fisici: tenere in considerazione che l’esame fisico è solo raramente
          diagnostico, nella gran parte dei casi non ci sono segni fisici evidenti ad un esame obietti-
          vo, la diagnosi di “child abuse” è piuttosto fondata sulla storia del bambino.
           racconti e affermazioni della vittima: è fondamentale un atteggiamento clinico accogliente
          ed empatico che eviti forzature e suggestione, sia attento non solo alle componenti fattuali
          delle esperienze riferite, ma soprattutto alle componenti personali. Il clinico può favorire
          l’elaborazione mentale dell’esperienza offrendosi come contenitore della stessa e favorendo
          il consolidamento di una traccia mnestica corretta. Tener presente che più il bambino è stato
          danneggiato dall’esperienza traumatica, più la sua capacità di ricordare raccontare sarà com-
          promessa e le sue rivelazioni quindi parziali, contraddittorie, confuse e spesso ritrattate.
           indicatori e segni psicologici: non esiste una sindrome clinica specifica identificabile
          con l’abuso, nessuno dei sintomi psicologici e comportamentali riportati in letteratura ha
          valore patognomonico, né da solo, né in associazione con altri sintomi. Il quadro clinico va
          sempre raffrontato con l’indagine psicosociale per procedere alla diagnosi differenziale,
          inoltre occorre tener presente che le manifestazioni post-traumatiche variano in funzione
          delle modalità (durata, intensità) con cui la violenza è stata perpetrata a seconda dei fattori
          di rischio e protettivi presenti nel contesto.


          5   La resilienza è qui intesa come processo, strategia di adattamento a situazioni stressanti ad alto rischio psi-
            cologico-sociale potenzialmente pregiudizievoli per lo sviluppo emotivo, cognitivo, socio-relazionale (De
            Gregorio, 2000).
          6   Tratto dalle linee-guida del C.I.S.M.A.I., Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e
            l’abuso all’infanzia.

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