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situazioni ove le cosiddette dipendenze non da sostanze si integrano, amplificano oppure
sostituiscono altre dipendenze, così come è tutt’altro che raro trovare persone il cui “arri-
vo” ad una dipendenza appare costellato da momenti di depressione più o meno consape-
voli, da scacchi sociali, da precedenti episodi di problematicità magari “non rumorosi”;
tuttavia non sono infrequenti i casi ove chi si trova coinvolto in tali relazioni patologiche
difficilmente riesce ad addurre “cause esterne” od una biografia di particolare sofferenza.
Tale elemento evidenzia come, pur nelle diverse specificità e sviluppi - e nel peso che
comunque giocano le disuguaglianze sociali - la possibilità di dipendenza non solo sia
diventata un qualcosa di trasversale a generazioni, a riti e miti, a bisogni diversi, ma an-
che - e questo è l’aspetto forse più inquietante – sia divenuta una condizione di rischio
sociale aperta ad ognuno di noi (Croce, Nanni, 2004).
Da tempo, del resto, ci si era resi conto di come la “carriera” del tossicomane fosse sempre
meno prevedibile e circoscrivibile in una progressione legata a chiari elementi di emargi-
nazione e di manifesto disagio sociale. Accanto infatti a molte carriere di questo tipo, da
tempo si evidenziavano casi o situazioni ove i segnali premonitori erano - se non assenti
– certamente non comprensibili a molti osservatori. In questo senso, il nuovo quadro che
si sta delineando appare ancora più sconcertante, anche perché rischia di trovare impre-
parati i “tradizionali” luoghi di ascolto, di cura, di aiuto. Le indicazioni e gli indirizzi
governativi sembrano poi indicare “nel rischio di dipendenza da sostanze” se non l’unico,
certamente il rischio principale sul quale agire, sul quale organizzare sistemi di monito-
raggio, sul quale incentrare sistemi di cura e di risposta e per quanto riguarda il problema
delle dipendenze non da sostanze il versante dell’attenzione, della ricerca, delle risposte
appare sensibilmente inferiore rispetto alle crescenti domande espresse o ai bisogni ine-
spressi di assistenza. Rare e disarticolate sono infatti le risposte sul piano istituzionale e
poche, fatto salvo alcune pionieristiche iniziative, sono le risposte sul piano del volonta-
riato e del privato sociale.
2. ALCUNI RISCHI DI UNA LETTURA “AFFRETTATA”
Tuttavia l’analisi e la risposta a tali questioni necessita di alcune attenzioni e pone al-
cuni rischi. Il primo è quello di mettere in secondo ordine l’attenzione a quelli che sono
i consumi/abusi/dipendenze da sostanze. Quasi che tutto ciò ormai non faccia più noti-
zia, che sia ormai un fenomeno fisiologico e non vi sia poi molto da fare finendo con
il perdere di vista le domande essenziali che non è possibile non porsi: “Perché questo
enorme bisogno di protesi chimiche a sostegno delle quotidianità? Per sentirsi adeguati
e soddisfatti? Per essere all’altezza e dribblare le fatiche? Per produrre performance
soddisfacenti per le aspettative degli altri, ma massicciamente interiorizzate? Quale è il
senso del ricorso alla chimica delle sostanze psicoattive che oggi offrono una variegata
multifunzionalità d’uso e che il mercato psicofarmaceutico legale vive in competizione
e nello stesso tempo trae stimolo dalla “concorrenza”? (Grosso, 2008, Amendt, 2004).
Un secondo rischio sta nell’essere dominati o quantomeno fortemente contaminati da
un modello di lettura costruito intorno allo stereotipo del tossicodipendente da eroina -
quale prototipo di ogni condotta di consumo, abuso, dipendenza - che non permetterebbe
di comprendere nell’evoluzione dei diversi percorsi individuali quanto ogni forma di
consumo se non addirittura di dipendenza possa offrire di positivo al soggetto e quanto
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