L'intervento
del Consultorio Familiare nei casi di separazione conflittuale
(Intervento al Convegno: "La Consulenza Tecnica d'Ufficio
per l'Affidamento dei Minori")
Cagliari 26 settembre 1998
Tullio Garau
La necessità della consulenza?
L'affidamento dei figli nei casi di separazione dei genitori è regolato dal nuovo diritto di famiglia del 1975 e dalla nuova legge sul divorzio del 1987. La separazione tra i coniugi può essere consensuale o giudiziale a seconda che i coniugi siano o no d'accordo sulle condizioni della separazione, condizioni sia materiali sia riguardanti l'affidamento dei figli stessi.
Nel caso della separazione consensuale il giudice si limita a recepire e ad omologare quanto proposto dai coniugi, eventualmente suggerendo loro di proporre modalità alternative nel caso in cui giudicasse l'accordo non adeguato allâinteresse dei figli.
Diverso è ovviamente il ruolo del giudice nel caso di una separazione giudiziale, nella quale è chiamato a svolgere il ruolo di arbitro tra i coniugi prendendo delle decisioni che tutelino lâinteresse materiale e morale dei minori.
Paradossalmente però, sebbene la legge espliciti con chiarezza che l'interesse dei minori deve essere collocato al primo posto tra le attività di tutela, succede che i minori figli di genitori in fase di separazione siano meno tutelati di quelli in stato di bisogno o di abbandono. La legge non prevede, infatti, esplicitamente il ricorso ad accertamenti sistematici dello stato di bisogno del minore in sede di separazione o divorzio né prevede controlli per verificare se le prescrizioni date siano state osservate.
Nel procedimento giudiziario della separazione solitamente si cerca di stabilire quale dei genitori sia più idoneo per l'affidamento dei figli e quali debbano essere i tempi e le modalità di incontro dei figli stessi col genitore non affidatario. In qualche modo quindi la questione sembra vertere più sulla idoneità del genitore che sulla definizione dello stato psicologico del minore e sulle prospettive di miglioramento dei rapporti con tutti i componenti il nucleo familiare L'interesse del minore è quindi considerato, in questi casi, perseguito attraverso la comparazione delle capacità genitoriali dei ricorrenti per decidere quale dei due sia più idoneo a svolgere il proprio ruolo mentre è dato poco peso alla verifica della situazione psicologica e relazionale del minore e di una valutazione del probabile processo di sviluppo che l'affidamento all'uno o all'altro dei genitori potrebbe comportare.
Sebbene nel corso degli ultimi anni si stia assistendo da questo punto di vista a notevoli cambiamenti questa tendenza resta ancora però quella predominante.
C'è poi da considerare il fatto che sebbene la legge parli di esclusivo interesse del minore per l'affidamento di questi, il minore stesso non ha un suo difensore e paradossalmente il suo interesse è sostenuto dalle parti che se lo contendono le quali spesso con i loro interventi possono invece costituire un pregiudizio per la sua integrità psicologica.
A fronte della evidente carenza di tutela del minore in fase di separazione coniugale o di un divorzio, si potrebbe pensare che una valutazione psicologica preliminare ad ogni decisione dovrebbe essere se non la norma, visto che la legge esplicitamente non la prevede, per lo meno una consuetudine. Così non è. Nella maggior parte dei casi si osserva, infatti, come l'intervento dell'operatore o del consulente è richiesto solo quando il giudice si trova in presenza di situazione conflittuali molto gravi o essendosi verificata la non osservanza delle indicazioni precedentemente da lui stesso date.
Sarebbe opportuno invece che, in attesa di una auspicabile modifica dei codici, il giudice considerasse preliminare ad ogni decisione in tema di separazione giudiziale una valutazione delle dinamiche intra ed interfamiliari e dei vissuti psicologici sia dei genitori sia dei figli da parte di un consulente.
Un discorso a parte si potrebbe poi fare per la separazione consensuale, nella quale, come si è detto, il giudice si limita ad omologare le decisioni dei coniugi. Non è detto, infatti, che una separazione consensuale non possa essere gravida di conseguenze dannose per i minori implicati. Il fatto che i genitori possano aver trovato un accordo tra di loro non significa necessariamente che questo accordo non possa costituire un pregiudizio per lo sviluppo psicologico del minore. Psicologicamente è evidente che qualunque separazione all'interno del nucleo familiare non può che avere delle conseguenze in tutti i componenti lo stesso nucleo e partendo da questa considerazione forse occorrerebbe prestare più attenzione alla tutela del minore anche in caso di separazione consensuale.
Il discorso è delicato perché
da una lato investe il diritto dei genitori di decidere in
piena autonomia sul futuro dei propri figli e dall'altro pone
il problema della tutela dei figli stessi.
La posizione dello psicologo nel ruolo di Consulente Tecnico d'Ufficio.
Lo psicologo può trovarsi a partecipare al processo di separazione coniugale sostanzialmente in due posizioni. Può trovarsi nella posizione di consulente tecnico, del Tribunale o di una delle parti, oppure in quella di operatore del servizio pubblico cui il Tribunale stesso ha demandato uno specifico compito istituzionale di tutela del minore. In tutti questi casi, pur con le dovute differenze che i diversi ruoli comportano, lo psicologo si trova a rapportarsi con una istituzione quale quella giudiziaria che utilizza un linguaggio e dei criteri di valutazione che possono esser molto diversi da quelli cui professionalmente è stato formato.
Dal punto di vista del legislatore la congruità del legame tra genitore e figlio sembra essere valutata più in base a criteri etico-normativi socialmente condivisi piuttosto che inerenti alle caratteristiche della relazione che si è strutturata tra genitori e figli. Infatti, gli elementi che più spesso sembrano essere presi in considerazione sono spesso opinioni o valori socialmente condivisi quali la capacità genitoriale principale della madre rispetto al padre, la moralità dei comportamenti, le possibilità economiche e non ultimo lo stato di fatto determinato dall'allontanamento di uno dei coniugi dalla casa coniugale.
Da un punto di vista psicologico, invece, la natura e la qualità della relazione sono i parametri di valutazione fondamentali. La ricerca e la clinica hanno sempre più messo in evidenza sia la complessità dei bisogni del bambino sia la precocità delle sue competenze. La stabilità di una figura genitoriale di riferimento sin dai primissimi giorni di vita è indispensabile per stimolare le capacità del bambino, per permettergli di fare esperienze gratificanti e per contenerne le angosce, per dargli una continuità nelle stesse esperienze che è poi la base per la acquisizione della capacità di controllo e di gestione della realtà.
La differenza tra i due punti di vista rimanda quindi al problema della separazione del bambino da una o da entrambe le figure genitoriali e delle conseguenze psicologiche che questa separazione comporta al di là della valutazione sociale che può spingere verso la separazione stessa. Non bisogna dimenticare, infatti, come il rapporto genitore-figlio sia strutturante rispetto allo sviluppo della personalità di quest'ultimo e come proprio un rapporto emotivamente negativo diventi, paradossalmente rispetto alla logica comune, estremamente vincolante e implicante.
E' evidente quindi che anche quando non esiste ragionevole alternativa alla separazione del minore da uno o da entrambi genitori, vuoi perché la prosecuzione del rapporto comporterebbe rischi gravissimi per l'equilibrio e lo sviluppo del minore stesso o vuoi perché interviene una situazione di abbandono, occorre prestare la massima attenzione alla strutturazione di un intervento di sostegno per quella che è comunque una perdita grave.
Prima che sia presa qualunque decisione, anche a tutela del minore, si rende quindi necessaria una analisi psicologica approfondita delle dinamiche intra ed interfamiliari nonché una valutazione della personalità di tutti i componenti il nucleo familiare.
Quanto detto vale ovviamente anche per le situazioni di separazione.
Nel procedimento giudiziario nel quale il minore si viene a trovare quando i suoi genitori si separano emergono tutta una serie di figure la cui rilevanza psicologica è spesso trascurata ma che possono avere un peso sul piano delle dinamiche relazionali intra ed inter familiari: il giudice, gli avvocati delle parti, gli operatori del servizio pubblico e non ultimo il consulente stesso.
Il giudice appare spesso agli occhi del bambino come una figura quasi onnipotente, come colui che prenderà delle decisioni che determineranno la sua vita. Ora, se il bambino è piccolo questa percezione di onnipotenza del giudice metterà in dubbio la percezione di onnipotenza del o dei genitori che il bambino ha. Percezione che costituisce per lui fonte di sicurezza e certezza di appoggio in caso di difficoltà. La "base sicura" direbbe Bowlby. Se invece il minore è più grande o se è già adolescente, e quindi in fase di intolleranza o di contestazione della autorità dei genitori, la presenza di una figura che prenderà delle decisioni su di lui e suoi stessi genitori potrebbe rinforzare ed esasperare gli atteggiamenti di ribellione e frustrare il processo in corso di conquista della propria indipendenza.
Questa percezione di onnipotenza del giudice nelle separazioni conflittuali è poi spesso esasperata dallâatteggiamento di uno o di entrambi i genitori che usano la figura del magistrato per deresponsabilizzarsi rispetto a scelte o decisioni alle quali o si sono opposti o hanno dato una adesione evidentemente più formale che sostanziale.
Non solo il giudice della separazione però si trova suo malgrado invischiato in queste dinamiche. Gli stessi operatori ai quali è demandata la relazione di aiuto al minore, psicologo e assistente sociale, o il consulente tecnico incaricato dal Tribunale si trovano nella stessa situazione.
Gli operatori impegnati nella relazione di aiuto possono, proprio per la posizione di supporto e sostegno al minore, confermare a questi da un lato la inadeguatezza dei propri genitori e dallâaltro innescare dei sensi di colpa per il tradimento della lealtà verso la propria famiglia. Se poi il minore si trova in età adolescenziale gli operatori possono esser visti come degli alleati nel conflitto con i genitori, alleati tuttâaltro che utili e opportuni per la costruzione di un sano processo di individuazione.
Il consulente tecnico a sua volta, per il proprio ruolo di valutazione, è visto dal minore e dai genitori come una figura pericolosa se non persecutoria. Non sorprendono quindi atteggiamenti e comportamenti oppositivi o aggressivi.
Anche qui, come per il giudice, l'atteggiamento dei genitori nei confronti degli operatori e del consulente inserisce degli elementi di ulteriore complessità.
Infine gli stessi avvocati delle parti in causa non sfuggono a queste dinamiche. La necessità di elaborare delle linee strategiche processuali volte a "vincere la causa" porta talvolta gli avvocati a dare una visione della realtà e dei fatti nella quale il minore non si riconosce, soprattutto quando questa visione della realtà riguarda le figure genitoriali. Il minore è talvolta costretto, implicitamente o esplicitamente, a schierarsi a favore di uno dei due ricorrenti e quindi a sfavore dell'altro, col risultato di una lacerazione del sentimento di lealtà verso entrambi i genitori e con il sorgere di sensi di colpa che non possono non avere effetti dirompenti per lo sviluppo della personalità.
La complessità psicologica e relazionale del processo di separazione deve portare il consulente ad allargare la sua analisi. Già nel 1983 Cigoli faceva osservare come la Consulenza Tecnica dovesse avere un carattere "sistemico" ed un uso clinico e che quindi tenesse conto del contesto di fatto di lite e giudiziario, superando una concezione della consulenza vista in termini di indagine psicologica sui genitori, sul minore, sull'ambiente e così via. Cigoli proponeva invece una consulenza svolta in termini di analisi delle relazioni sia intrafamiliari (interazioni genitori-figli) sia interfamiliari (rapporti tra famiglia e organi giudiziari, tra famiglia ed operatori e tra famiglia e consulente) e il cui uso clinico portasse ad un "apertura dialogica" tra consulente e giudice sin dal primo momento della attribuzione della consulenza.
Sebbene gli psicologi si trovino spesso ad operare nel ruolo di consulenti, la CTU non sembra particolarmente amata dagli stessi. Il rapporto è anzi sofferto. E' presente la consapevolezza del pericolo di collusione con le dinamiche conflittuali, spesso cronicizzate, all'interno della famiglia e tra componenti la famiglia e organi giudiziari di diverso livello. Realmente la consulenza si trova a doversi confrontare con due diverse esigenze: da un lato la valutazione della situazione e delle sue possibili evoluzioni e dall'altro l'indicazione da dare alla famiglia, per il tramite del giudice, sul come fare per uscire dalla situazione di stallo in cui si è venuta a trovare.
La ricomposizione di queste esigenze può
venire sia da un rapporto di dialogo aperto col giudice, come
già si è detto, sia dalla apertura ad altri
soggetti quali soprattutto gli operatori psicologici e sociali
dei servizi territoriali.
Il ricorso agli operatori del servizio pubblico ed il coordinamento tra operatori.
Generalmente il giudice della separazione ricorre a consulenti privati ma sempre più spesso, anche se ancora in un numero molto ridotto di casi, comincia a valersi anche della collaborazione degli operatori del servizio pubblico. Questo sta avvenendo probabilmente perché molti giudici cominciano ad interrogarsi sulla esaustività di uno strumento quale la CTU che, pur svolta nel migliore dei modi e quindi non più semplicemente orientata su un versante prevalentemente diagnostico, è forzatamente legata ad una dimensione temporale ridotta.
Il ricorso agli operatori del servizio pubblico, se da un lato testimonia della sensibilità da parte dei giudici della necessità di una presa in carico di una situazione con una dimensione temporale che la CTU non può per principio avere, pone però a sua volta tutta una serie di problemi.
Per la posizione istituzionale che si trova ad occupare, l'operatore del servizio pubblico è portato a privilegiare la relazione di aiuto allâutente per cui si trova in difficoltà quando deve invece assumere un ruolo di valutazione nei confronti dellâutente stesso. Le remore dell'operatore del servizio pubblico in questo caso derivano dal trovarsi in una posizione ritenuta falsa per cui se da un lato deve creare un rapporto di fiducia con l'utente dall'altro sente in qualche modo di tradire questa fiducia portando in ambito giudiziario quanto è emerso dal suo rapporto privilegiato con l'utente.
Questa difficoltà è fortemente sentita dagli operatori dei Consultori Familiari i quali, essendo loro demandato per legge il sostegno alla genitorialità, trovano poi difficile operare in un ambito in cui viene invece richiesta una valutazione di questa genitorialità che può avere conseguenze anche spiacevoli per lâutente.
La soluzione potrebbe essere quella di differenziare, coordinandole, le attività del consulente tecnico e quelle degli operatori del servizio pubblico in generale e quelli consultoriali in particolare. Verrebbero così salvaguardate le esigenze giudiziarie di accertamento e di valutazione attraverso l'affidamento della consulenza ad uno psicologo privato, pur con le caratteristiche sistemiche e cliniche alle quali si è accennato in precedenza, e verrebbe salvaguardato il ruolo dellâoperatore del consultorio che è di tutela e di sostegno alla genitorialità.
Il coordinamento del lavoro tra consulente privato e consultorio si tradurrebbe inoltre in una migliore tutela sia del minore sia dellâintero nucleo familiare che si trova ad affrontare il difficile momento della separazione. Lâapporto degli operatori del Consultorio Familiare potrebbe, infatti, permettere una presa in carico del nucleo familiare in un arco di tempo sufficientemente lungo da permettere l'elaborazione dei vissuti legati alla separazione.
Il coordinamento e la collaborazione tra consulente privato e operatore del consultorio al di là degli aspetti tecnici ed operativi, sui quali è necessario un lavoro di approfondimento ancora in gran parte da svolgere, pone anche dei problemi a causa della differente collocazione dei due, essendo l'uno un libero professionista e l'altro dipendente di una istituzione quale la Asl che ha una sua precisa organizzazione gerarchica ed una precisa regolamentazione dei rapporti con l'esterno.
Queste difficoltà potrebbero essere superate se il ruolo di coordinamento tra consulente privato ed operatore pubblico venisse assunto dalla autorità giudiziaria a partire dalla precisa determinazione dei rispettivi compiti ed ambiti di intervento. L'acquisizione da parte del giudice delle relazioni dei diversi operatori e il loro confronto, anche in sede di audizione congiunta degli stessi, potrebbe portare a quella che Cigoli ha definito "apertura dialogica", apertura che a questo punto riguarderebbe non solo il consulente e il giudice stesso ma tutti gli operatori coinvolti nel processo di separazione.
Certo, gli ostacoli ad una organizzazione del lavoro di questo tipo non sarebbero pochi, a partire dalla difficoltà derivante dal diverso ruolo ricoperto, dalle differenze di formazione professionale, dalla diversa matrice culturale, dall'uso di differenti linguaggi e così via. Credo però che solo da un sempre più stretto coordinamento tra tutti gli operatori coinvolti nel processo possano venire risposte più adeguate ad affrontare una situazione di estrema complessità giuridica, psicologica e sociale quale è appunto quella della separazione.
Bibliografia
Cigoli, Intrecci familiari, Raffaello Cortina Editore, Milano,
1997
DellâAntonio A. La consulenza psicologica per la tutela
dei minori, NIS, Roma, 1989
Ghezzi e Vadilonga (a cura di), La tutela del minore, Raffaello
Cortina Editore, Milano, 1996