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Esperienze e contributi degli psicologi sanitari

AREA SVILUPPO

ALLA RICERCA DELLA SPECIFICITÀ PSICOLOGICA NEI SERVIZI PER LA SALUTE IN ETÀ EVOLUTIVA. IDEE E PRASSI, MITI E VISIONI
di Diego Garofalo (Coordinatore Attività Psicologiche Area T.S.M.R.E.E. Azienda USL Roma-B)

Premessa. Gli attuali Servizi come contenitori  rassicuranti, ma obsoleti
Le riflessioni che seguono riguardano l'operatività dello psicologo nei Servizi cosiddetti Materno-Infantili delle ASL (si noti la curiosa denominazione, con l'eclatante assenza del padre). In verità un Servizio così unitariamente strutturato non esiste in tutte le regioni, che vedono i diversi interventi in favore dell'infanzia e della famiglia afferire a Servizi diversi; e d'altra parte nella nostra Regione -che l'ha istituito nel 1994, auspicandone successivamente l'organizzazione in Dipartimento- c'è ancora qualche Azienda che tale Dipartimento non ha. Non si tratta di semplice questione organizzativa: c'è di mezzo una concezione dell'intervento per l'infanzia. L'organizzazione dipartimentale assicura quel modello di operatività integrata ed unitaria che è essenziale per rispondere al complesso ed unitario mondo dell'infanzia, e per salvaguardare quindi le competenze (conoscenze e abilità) specificamente sviluppate intorno a questo ciclo di vita, la cui importanza per l'ulteriore sviluppo personale e sociale è da tutti riconosciuta. In tale prospettiva non ha senso scorporare i vari aspetti o segmenti di esso affidandoli ad altri contenitori generici, quali ad es. l'assistenza di base, o la riabilitazione, o il Dipartimento di Salute Mentale; mentre dei servizi specialistici possono e debbono trovare un'adeguata collocazione interna, ad es. -appunto- un Servizio di psicologia. Non è un'esagerazione interessata affermare anzi che tale modello di integrazione operativa per il minore può diventare il paradigma di ogni psicologo che opera per la salute ãolistica della persona, da vedere sempre in un'ottica globale e contestuale al suo effettivo, complessivo, continuativo processo di sviluppo. Quindi, tanto per sgombrare il campo da possibili  fraintendimenti, il metodo migliore per realizzare tale intervento è l'interdisciplinarità e il lavoro  d'équipe. Ma la domanda che ci dobbiamo porre, in questo momento storico, è quanto i Servizi attualmente costituiti ed effettivamente operanti permettono la piena estrinsecazione della nostra specifica professionalità in un contesto operativo caratterizzato dalla predominanza del modello e della figura medica.
A questo proposito, c'è appunto un altro aspetto storico che aiuta a spiegare certe resistenze interne alla nostra categoria ad una integrazione dell'intervento psicologico nel Dipartimento Materno Infantile. All'interno di questo, sempre nella Regione Lazio, esistono due Aree che prevedono l'operatività dello psicologo: l'Area Consultoriale e l'Area per i disturbi in età evolutiva (ufficialmente chiamata Area Tutela Salute Mentale e Riabilitazione in Età Evolutiva, ma in realtà chiamata nei più recenti documenti nazionali ãsettore di neuropsichiatria infantile). È significativo che nei testi normativi del Ministero della Sanità il Consultorio compaia sempre: il fatto è che esso gode di una legge istitutiva a livello nazionale ed esiste in tutte le Aziende. Ma può essere altrettanto significativo rilevare che il Consultorio è nato come un servizio a forte caratterizzazione sociale, mentre il servizio per i disturbi in età evolutiva discende dall'istituzione delle cosiddette Unità Territoriali di Riabilitazione (per l'handicap) e quindi con una forte caratterizzazione medica (e con la presenza di neuropsichiatri infantili la cui competenza si sovrappone per molta parte con quella degli psicologi). Ora è evidente che lo psicologo consultoriale goda di maggiore autonomia anche a livello gestionale, ma il problema è ancora una volta quello di uscire da contenitori rassicuranti e lottare per servizi con idee forti. Che senso ha dividere l'intervento per il genitore, la coppia, la famiglia da quello per il bambino? Tutte le difficoltà del bambino equivalgono a handicap? Qual è il modo migliore per intervenire, complessivamente e psicologicamente, sul disagio infantile e familiare?
Più in generale, l'impressione è che come psicologi siamo stati finora rassicurati dall'aggancio ad un modello culturale ed organizzativo dalla forte e ben definita caratterizzazione medica, pagando inevitabilmente il prezzo di una visibilità debole, anche per i rapporti di forza all'interno dei servizi ãsanitari dominati e governati dai medici, da cui abbiamo mutuato inconsapevolmente idee,  terminologia e persino (per qualcuno) il camice. Non si tratta ora di lottare contro la visione medica né tanto meno contro i medici; semmai, dopo quasi trent'anni di crescita (dall'istituzione di primi Corsi universitari), è giunta l'ora di lottare per il riconoscimento della nostra più piena e matura identità. Identità che è profondamente diversa da quella medica, per il diverso approccio appunto alla persona e alla salute. Non la competizione, ma la strategia della differenziazione ci può portare ad una collaborazione vera e pariteticamente riconosciuta. È ovvio che, se l'organizzazione sanitaria attuale non consente l'estrinsecazione di questa diversità, è ora di pensare ad un'organizzazione diversa. Cioè -con uno slogan che riflette la nostra maturazione nell'arco degli ultimi tre decenni- non più la psicologia nei Servizi, ma Servizi di psicologia unitariamente integrati negli attuali ãcontenitori dipartimentali, se proprio si vuole rinunciare alla costituzione di un vero e proprio Dipartimento di Psicologia. L'autonomia non significa autarchia. E più rafforziamo la nostra identità più sentiamo il bisogno di autonomia, che facilita peraltro la necessaria relazione con tutti gli altri operatori per la salute.
 

1. Miti, idee e visioni dell'intervento psicologico per la salute in età evolutiva

Per lavorare bene bisogna avere buone idee. Bateson dice che molte idee della scienza d'oggi sono obsolete; per noi psicologi della sanità, che abbiamo lottato per avere uno status socialmente riconosciuto alla pari con quello della medicina, molte nostre idee di fondo sembrano a rimorchio di convinzioni mediche magari leggermente rivisitate. Dobbiamo rivederle alla radice, se vogliamo cercare la nostra identità matura. Faccio qualche esempio.
Anzitutto: cos'è la salute, per noi psicologi? Canguilhem diceva, con una pregnante paradossalità, che essa è il lusso di potersi ammalare. Quindi essa si fonda sul diritto (ormai mondialmente riconosciuto) allo stare il più possibile bene (il ben-essere integralmente considerato). Lo spostamento è radicale: dall'ottica centrata sulla malattia (ed un'organizzazione centrata conseguentemente sugli ospedali) a quella sulla salute (che conseguentemente dovrebbe vedere lo sviluppo dei servizi territoriali). Forse è questa nuova ottica che abbiamo paura di esaltare per paura di perdere quell'autorevolezza scientifica data alla ãsanità più che alla salute. Una salute che per noi psicologi ha il suo focus nella soggettività e nella relazionalità della persona in sviluppo, nella quale si integrano gli aspetti biologici con quelli psichici, ma senza egemonie riduttivistiche né confusi eclettismi (cfr. Gadamer, 1994). Molte persone (forse anche qualche psicologo) sembrano non credere fino in fondo alle potenzialità della mente sulla salute dell'intera persona. Salute che, come l'approccio al bambino insegna (vedi sopra), sta nel progressivo ed integrale sviluppo della persona in un'autonomia che ha bisogno di positive relazioni interpersonali e sociali; uno sviluppo che deve quindi essere sostenuto a tutti i livelli e in tutti gli ambienti di vita. E questo significa che dobbiamo trovare un'aggregazione più unitaria nel mondo della sanità, che ci renda più forti e più autonomi nel collaborare anche con tutti i soggetti sociali interessati alla salute, come ad esempio gli Enti Locali e il Privato Sociale (un modello è fornito dalla legge 285/97, mentre un aggancio legislativo öfinora, a mio parere, poco cavalcato da noi- è quell'Area sociosanitaria ad elevata integrazione sanitaria prevista dal Decreto 229/99).
Questa ricerca di specificità costringe a farci altre domande correlate. Che senso diamo alla diagnosi? A quale scopo noi facciamo una diagnosi? Perché ce la chiede lo psichiatra o il neuropsichiatra infantile che devono dare farmaci, o riempire cartelle, o fare studi epidemiologici con nosografia universale e quindi sempre più basata non su visioni cliniche ma soprattutto comportamentali? Certo pure noi possiamo e dobbiamo fare questi studi, e curare di più anche la ricerca. Ma la nostra diagnosi è sempre funzionale a quella data persona, allo sviluppo delle sue risorse e potenzialità, e non tanto all'evidenziazione dei suoi deficit. Dobbiamo saper fare una nostra specifica diagnosi psicologica, che per l'età evolutiva significa conoscere bene il bambino nella sua realtà globale, non solo alla luce delle sempre più raffinate conoscenze scientifiche, ma anche del sui contesto specifico e socioculturale. Solo se abbiamo un'autonomia operativa e gestionale forte la nostra diagnosi può contribuire all'intero processo di sviluppo del bambino, stando alla pari con la diagnosi e la cura medica, pur nell'indispensabile collaborazione.
E che senso hanno i ãsintomi nella nostra visione psicologica? Basti pensare ai bambini che vengono al nostro Servizio col ãsintomo dell'enuresi, della fobia di qualcosa, della masturbazione, dell'iperattività, della depressione. Siamo sicuri che questi termini mutuati dalla medicina corrispondano a quanto noi ci sforziamo di capire del bambino? Sono segni di malattia propriamente detta? O di un disagio, che non dobbiamo comunque ridurre a un ãconcetto spazzatura?  Ma chi si occupa del disagio dei bambini strombazzato ai quattro venti da tutti i giornali e buono soltanto (forse) nella campagne politiche? Il sintomo è per noi un messaggio: chi lo ascolta? come intervenire su di esso? Abbiamo paura di dover dividere il compito dell'intervento difficile e complesso con genitori, pedagogisti, sociologi, anziché con i più blasonati medici? Interrogarci sul senso, sulle cause, sui possibili rimedi è opera soltanto filosofico-giornalistica?
E che senso ha la cura? Che cos'è per noi la ãguarigione?  In cosa consiste l'aiuto per l'altro? Nell'aiutarlo a fargli ritrovare l'autonomia del proprio sviluppo, nel sostenerlo nella capacità di stare meglio con se stesso e con gli altri. Rileggiamo queste affermazioni: ãNoi non desideriamo affatto che la psicoanalisi venga inghiottita dalla medicina e finisca col trovar posto nei trattati di psichiatria, al capitolo terapia, fra quegli altri procedimenti -come la suggestione ipnotica, l'auto-suggestione e la persuasione- che nati dalla nostra ignoranza debbono la loro effimera efficacia soltanto all'inerzia e alla debolezza delle masse umane. Essa merita un destino migliore. Chi le scrive è nientemeno Freud (1926, p.413), il quale lotta per non far diventare la psicoanalisi branca della medicina appunto perché non vuole assimilarla a quelle concezioni che addomesticano le capacità di autonomia e di responsabilità dell'uomo. Questo è il senso profondo dell'analisi ãlaica che lui difende come visione della salute sganciata dall'ideologia medica, aggiungendo infatti subito dopo: ãQuel che vogliamo fare è arricchire [il paziente], e trarre questa ricchezza dal suo intimo facendo affluire al suo Io sia le energie che a causa della rimozione sono relegate nell'inconscio· sia le energie che l'Io, per poter conservare le rimozioni, è costretto a dilapidare (ivi, p.421). Non si tratta di voler curare solo con la psicoanalisi; tutt'altro. Essa è piuttosto qui citata come simbolo di un approccio alla salute che insiste sulle capacità autonome e i processi di autoorganizazione della persona, sul rapporto inscindibile tra la persona intera e le singole parti, tra l'individuo e l'ambiente, e sul funzionamento cibernetico di questo sistema autorganizzativo e relazionale. In questo consiste la moderna epistemologia della salute ora chiamata ãolistica, ora ãauto-eco-sistemica, e comunque rispondente alla prospettiva della ãcomplessità (Bocchi e Ceruti, 1985; Morin, 1993 e 2001; Ingrosso, 1994; Napolitani, 1993; Bateson, 1976). Per difendere questa nuova visione epistemologica dobbiamo avere riconosciuta una autonomia che ci permetta di realizzarla. Con un altro slogan: la psicologia agli psicologi.
Dobbiamo, inoltre, liberarci di ãmiti come l'équipe multiprofessionale (Sammartano e Xibilia, 2000): nell'operatività quotidiana essa si carica del potere dei più forti (ed allora ecco che il medico è il coordinatore dell'équipe, ecco che ti dice: ãfammi una valutazione, ecc.). O della mitologia, esistente anche all' interno della nostra professione, che esalta come unico e valido il proprio orientamento: dobbiamo saper valorizzare tutte le nostre ãvisioni dell'uomo, tutti i nostri orientamenti, i nostri metodi, anche per evitare noi di cadere nel riduttivismo di uno solo.
E dobbiamo avere sogni o ãvisioni. Cioè lottare per realizzare idee forti, come negli anni '70 quella dell'integrazione dei portatori di handicap nella scuola di tutti. Chi scrive partecipò a quel movimento fatto non solo da una psicologia allora in trincea, ma che aveva alleati nel clima culturale sessantottesco, in un vero discorso paritario di équipe, in un'idea forte. Ecco allora che ci dovremmo inserire nel tessuto sociale con la creazione di nuovi ãcontenitori organizzativi per la salute (ad es. i servizi psicosociali, lo psicologo di base come il medico di base, ecc.), ed anche con l'uso efficace (dovremmo teoricamente esserne maestri!) dei moderni mezzi di comunicazione e di relazione anche di massa, sapendoli vedere nei loro aspetti positivi e non per gli aspetti depressivi e confusivi che la attraversano, possiamo immaginari nuovi scenari e nuovi modelli di intervento.
 

2. Modelli ed ambiti di intervento psicologico per la salute in età evolutiva

In tale ottica, di considerazione integrale della persona nella sua soggettività e relazionalità, cioè attenta a salvaguardare l'unità e la complessità della persona in situazione (contesto, ambiente, circolarità e ricorsività dei fattori), dobbiamo saper valutare e sostenere e promuovere gli aspetti psichici della salute ed offrire il necessario sostegno ed aiuto per gli aspetti psichici delle sofferenze variamente espresse, utilizzando tutti gli strumenti, i metodi, le potenzialità della nostra professione. C'è spazio per tutti: psicologia clinica e psicoanalisi,psicologia cognitivista e comportamentale, psicologia umanistica e di comunità, per quell'unico obiettivo della salute delle persone, che non ci può essere senza quella delle comunità e delle istituzioni. Ecco quindi che il lavoro per il bambino si intreccia al lavoro per e con i genitori, gli insegnanti, la scuola, il quartiere. Perché considerare questi ambiti separati? E perché allora non lavorare più in integrazione tra noi, razionalizzando il nostro intervento per ora diffuso tra vari Servizi eterodiretti  e per di più eterogeneamente (a seconda del carattere e dell'impostazione dei Capi delle varie Unità di appartenenza).? Questo è possibile solo avendo l'autonomia di gestione, di risorse, di progetti. L'autonomia ci può consentire il lavoro intra- e inter-dipartimentale più efficace.
Dobbiamo saper cogliere i bisogni delle persone e della società così come di fatto premono, e non secondo come sono organizzati i nostri Servizi. Bisogni che sono complessi e intrecciati. In tale intreccio consiste il disagio psichico e sociale che attraversa in modo sempre più consistente bambini e adolescenti e che noi dovremmo aiutare a superare. Perché parlarne solo negli effetti eclatanti quali l'ãabuso in età evolutiva di cui si appropriano i neuropsichiatri infantili? Che hanno la capacità (e il riconoscimento sociale di ruolo) per inventarsi un ãtelefono azzurro, e che sono interpellati (grazie anche alla loro visibilità professionale) dagli assessori che vogliono rendere le città a misura di bambine e bambini. E che dire dell'aumento progressivo degli psicofarmaci (la cui utilità, assicurano gli esperti, è nel 90% dei casi priva di evidenza scientifica) da somministrare a bambini turbolenti e difficili subito psichiatricamente etichettati come affetti da disturbi dell' attenzione con o senza iperattività, disturbi del comportamento, disturbi della sfera emozionale, depressi, da eccitare o sedare con Prozac e Ritalin, per prescrizione non solo degli specialisti ma anche di pediatri e medici di base?
Dobbiamo davvero utilizzare nuovi modelli di intervento più consoni alla nostra specifica prospettiva. Ad esempio la prevenzione. Mi sia consentito (vista peraltro la mia formazione di base) di ritornare al genio di Freud: ãQuando un bambino comincia a mostrare i segni di uno spiacevole sviluppo e diventa svogliato, testardo e distratto, il pediatra, e anche il medico scolastico, non sanno che cosa fare di lui; e così pure se il bambino presenta chiare manifestazioni nevrotiche, come stati ansiosi, anoressia, vomiti e insonnia. Questi sintomi nevrotici, e queste incipienti deviazioni del carattere, possono essere eliminati da un trattamento che unifichi l'influenzamento analitico e l'azione educatrice, e che sia condotto da persone che non disdegnino d'occuparsi delle condizioni d'ambiente del bambino e che sappiano aprirsi la via conducente alla sua vita interiore (1926, cit., p.414). È vero che Freud pensa ad analisi infantili come ãmezzo di profilassi (p.415) e insiste su queste nevrosi infantili ãche spesso passano inosservate· e [che possono costituire] fattori predisponenti per forme gravi dell'età adulta (ivi); ma aggiunge pure la fantasia che ãqualche miliardario americano [possa] destinare una parte dei suoi quattrini per educare analiticamente i social workers (ivi).
Ecco indicato uno dei modelli: la formazione, l'educazione, il sostegno agli educatori, ai genitori. Dobbiamo certamente investire di più sui processi educativi, illuminati da serie ricerche psicologiche, per la costruzione della salute.Dobbiamo cambiare ad esempio la prospettiva nella quale adesso si muove la scuola, la classe insegnante, pronta a ricorrere allo psicologo come delega, come richiesta per il sostegno, e quindi in funzione solo dell'handicap e per interventi di fatto piuttosto formali (come la partecipazione ai GLH operativi e alla stesura dei Piani Educativi individualizzati) data l'annosa carenza d'organico di psicologi nelle ASL. Dobbiamo invece riuscire a trasformare l'interesse dell'insegnante nella direzione di uno sviluppo sano di ogni componente del sistema scuola, coinvolgendo direttamente la sua competenza professionale opportunamente integrata con quella dello psicologo della sanità (e si spera tra breve anche di quello scolastico). Dobbiamo lavorare per la crescita degli ambienti di vita del bambino: interessarci più attivamente delle condizioni del quartiere quanto a risorse psicosociali, strutture educative (asili nido compresi, o le nuove forme di asili condominiali),  centri di aggregazione giovanile, luoghi di incontro giovanile (discoteche, palestre, ecc.). Il tutto in collaborazione tra pubblico e privato (compresi liberi professionisti e cooperative), tra vari Enti ed Istituzioni, tra varie organizzazioni.
Dobbiamo incidere sui fattori di rischio (non necessariamente legati ad una specifica patologia, ad esempio sui disturbi prescolari e scolari), sulle nuove fasce deboli (figli di famiglie povere, immigrati, nomadi, di genitori psichiatrici, di madri detenute), sui fattori di crescita e di creatività. Più specificamente dobbiamo lavorare sull'alfabetizzazione emotiva, sull'educazione ai sentimenti e all'affettività, sui processi di autonomia (non già quando la dipendenza si è sviluppata e strutturata), sui processi di aggregazione e condivisione di modelli e valori giovanili (riferibili ad es. ai fattori psicosociali delle stragi del sabato sera, dell'uso ed abuso di sostanze tossiche: se ne interessa il SERT, ma perché non farlo insieme, dato che l'uso di tali sostanze inizia sempre più precocemente?). Dobbiamo lavorare sulla formazione e il cambiamento dei modelli culturali relativi all'infanzia e al suo ãusoed ãabuso, ma anche relativo alla percezione sociale dell'intervento psicologico troppo spesso ancora inteso (pure dai ragazzi) come ãcura del matto.
Quindi la stessa ricchezza o molteplicità di interventi va attuata per quello che riguarda la ãcura, la ãclinica psicologica. Sicuramente abbiamo ancora tantissimo spazio per potere fare il sostegno psicologico al bambino ospedalizzato e alla sua famiglia, che nel 60% dei casi risente negativamente di tale ãtrauma. Ma dobbiamo saper andare oltre. Per noi cura significa ãprenderci cura, ãprendere in carico l'aspetto psichico della situazione di difficoltà e di disagio, e non rispondere solo alle emergenze. Dobbiamo riuscire ad ãascoltare gli adolescenti sia a livello singolo (quando chiedono l'aiuto) sia quando tale richiesta è implicita (e ad es. nelle scuole, aperto uno ãsportello di ascolto ti vengono a frotte, magari per imitazione, curiosità, civetteria). Dobbiamo insegnare agli adulti le tecniche per ascoltare veramente il bambino anziché fare finta di occuparsi di lui, disattendendo il suo messaggio  in una collusione generale di interessi consumistici e sensi di colpa dei genitori. Dobbiamo riuscire ad organizzare gruppi di sostegno e di autoaiuto per adolescenti, per genitori, per insegnanti (e magari gruppi Balint per medici, e gruppi per il superamento del burn-out per noi stessi professionisti dell'aiuto). Dobbiamo dare più spazio al sostegno delle risorse individuali e sociali, alla riabilitazione ed alla abilitazione (come dice, con un bellissimo termine a torto trascurato, la legge costitutiva della nostra professione). Quindi lavorare sull'orientamento lavorativo e di studio. (Per altri modelli di tale intervento complesso in età evolutiva, rimando al mio precedente articolo, Garofalo 2000).
Dobbiamo inoltre poter essere messi in grado di curare la nostra formazione e la formazione dei futuri psicologi (dare una valenza diversa ai tirocini post-lauream e di specializzazione) ed al volontariato nei Servizi. Dobbiamo poter stare più insieme in iniziative di confronto, covisione, discussione (forse abbiamo paura dell'autonomia anche per questo, poiché siamo stati abituati a gestirci da soli).
Per potere fare tutto questo abbiamo bisogno dell'autonomia. Questa ci può dare la necessaria forza per acquistare visibilità scientifica e sociale, per pretendere aumento di organico, per collaborare effettivamente coi medici (che adesso cominciano loro a riciclarsi come ãesperti della salute, appropriandosi dell'educazione sanitaria e pretendendo l'esclusiva -magari dopo essere stati formati da noi psicologi- per corsi di educazione alimentare, corsi di accoglienza nelle strutture sanitarie, ecc.).
Realizzare progetti, assicurare la qualità, fare ricerca: sono i nuovi imperativi dell'organizzazione sanitaria di tipo aziendale. Ma tutto questo lo si può realizzare non dipendendo da responsabili medici con mentalità medica. Non è che quest'ultima sia esecrabile, solo che non ci appartiene. Bisogna che possiamo gestire un nostro budget. Che possiamo autovalutarci e non essere valutati  da altri professionisti con altra mentalità. E cerchiamo il naturale alleato in un ãmovimento culturale che sappia vedere ed incanalare i bisogni sempre più intrecciati e complessi di salute delle persone in nuovi canali di risposta, quindi non più soddisfacibili nella tradizionale ottica sanitaria.
 

Conclusione. Sostenere il cambiamento culturale e dei Servizi verso i nuovi modelli epistemologici

È importante dare un nome alle cose: i nomi riflettono i contenuti. Non è un caso ad esempio che l'ultimo Piano Sanitario Nazionale (abortito col nuovo governo) prevedesse dei Centri territoriali di assistenza neuropsichiatrica per l'età evolutiva, ovviamente coordinati da un medico neuro-psichiatra, tornando addirittura indietro rispetto alla conquista della sopraddetta denominazione come Area della Tutela Salute Mentale e Riabilitazione in Età Evolutiva (data comunque in procinto di traslocare o al Dipartimento di Salute Mentale o, nell'ultima tendenza, all'Area di Pediatria). È invece ora di chiedere addirittura a livello nazionale l'istituzione, presso ogni Azienda,  di un unico Centro (o Servizio o Area) di psicologia per l'età evolutiva, che accorpi appunto le competenze dei consultori e quelle destinate alle difficoltà o handicap infantili, proprio per dare una risposta epistemologicamente corretta ed operativamente più efficace.
La psicologia nei servizi sanitari in genere (soprattutto ospedalieri) è ancora considerata un'ottima ancilla della medicina biologica, o tutt'al più -in quelli più evoluti- come una bella compagna magari da sposare, ma da relegare alle faccende domestiche. Per evitare questo dobbiamo rendere più visibile la nostra identità,  socialmente indispensabile la nostra operatività, e forte la nostra autonomia per una più efficace integrazione tra noi e con tutte le altre professionalità.
Per ottenere questa nuova organizzazione, e quindi normative più adeguate, dobbiamo avere non tanto la forza di una lobby, ma la forza di idee sostenute dall'intera comunità civile in quanto rispondenti ai nuovi bisogni di crescita personale e sociale. Non c'è, per questo aspetto, aggancio migliore che puntare ad un vasto, effettivo, polivalente ãmovimento in difesa del bambino, analogo a quello avviato con successo a proposito dell'adolescenza (tradottosi concretamente, in alcuni casi,  con l'istituzione di Servizi specifici all'interno delle Aziende). Di fronte all'urgenza dei bisogni dell'infanzia, che solo a parole è considerata fondamentale per la costruzione della personalità e per il miglioramento preventivo della società, dovremmo insieme con molti altri soggetti individuali e istituzionali saper lottare per gli effettivi e concreti diritti del bambino, per il suo sviluppo nel senso dell'autonomia, della solidarietà, della complessità ecologica, contro ogni sfruttamento, abuso, possesso, omologazione culturale dell'infanzia, con una particolare attenzione alle nuove realtà che creano svantaggio, disagio e debolezza nei bambini e con un particolare rispetto delle diversità a tutti i livelli. Questo significa animare la società civile attraverso lo sviluppo del benessere infantile, e sostenere quest'ultimo attraverso la crescita della prima.
Per fare tutto ciò dobbiamo convincerci prima noi della nostra (Pur relativa) indispensabilità per la salute delle persone, delle organizzazioni, della società, quindi della nostra ricchezza modulata nelle più diverse competenze, e quindi della necessità di un'autonomia vera per un servizio più efficiente ed efficace.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI
BATESON G., Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976.
BOCCHI G.- CERUTI M. (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1985.
CANGUILHEM G., La conoscenza della vita, Il Mulino, Bologna 1976.
FREUD S., Il problema dell'analisi condotta da non medici (1926), Boringhieri, Torino
GADAMER H.G., Dove si nasconde la salute, Cortina, Milano 1994.
GAROFALO D., Salute mentale a prova d'età, in ãIl Sole-24 ore Sanità, fascicolo del 31 ott./6 nov. 2000, p.24.
INGROSSO M., Ecologia sociale e salute, Angeli, Milano 1994.
MORIN E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993.
MORIN E., I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Cortina, Milano 2001.
NAPOLITANI D., Salute e terapia nell'orizzonte della complessità ecosistemica, in ãConnessioni, 1993, n.5, pp.9-19.
SAMMARTANO G.-XIBILIA C., Dal mito multiprofessionale al Servizio di psicologia, Giuseppe Laterza, Bari 2000.

Sommario

PREMESSA
-Al bambino con bisogni complessi e intergrati deve rispondere un unico Servizio integrato per l'età evolutiva, comprensivo di un'unica risposta specialistica psicologica (pur in un'organizzazione che preveda ãgruppi di lavoro o ãmoduli specifici)
-La differenziazione storica tra Area Consultoriale ed Area Età Evolutiva va inglobata in una unitarietà ispirata non al minimo comune denominatore medico, ma alla massima evidenziazione della specificità psicologica

ASPETTI TEORICI: L'ISPIRAZIONE EPISTEMOLOGICA DELL'INTERVENTO PSICOLOGICO PER L'INFANZIA
   -Bisogna rivedere alcune idee motrici di fondo:
Salute: progressivo ed integrale sviluppo del bambino/adolescente in un'autonomia che ha          bisogno di  positive relazioni interpersonali, sociali, ambientali
Diagnosi: funzionale al sostegno del processo di crescita e attenta alle capacità e alle risorse del  bambino/adolescente
Sintomi: capacità di ascoltare e di leggere i messaggi del bambino/adolescente
Cura:   sostegno alle capacità di autonomia e di relazione del bambino/adolescente, sostenendo l'intero sistema in cui egli è inserito
Équipe: l'integrazione avviene nel riconoscimento paritario della diversità dei modelli epistemologici usati dal medico e dello psicologo
-Quindi è indispensabile l'autonomia funzionale ed operativa in funzione del modello epistemologico
 
ASPETTI OPERATIVI: MODELLI E AMBITI DI INTERVENTO PSICOLOGICO PER L'ETÀ EVOLUTIVA
-Bisogna puntare tutti insieme, al di là di compiti istituzionali per ora suddivisi in funzione dei servizi e non dei soggetti ed utilizzando tutti i nostri orientamenti teorici, a:
-Interventi sui fattori di crescita, di coping e non solo di rischio: ad es. l'educazione socioaffettiva, l'educazione alla creatività, l'orientamento in tutte le sue accezioni
-Interventi di ascolto clinico e di presa in carico globale, anche attraverso la riabilitazione, l'abilitazione, la formazione
-Interventi di educazione alla salute e sui processi educativi e culturali, nella specifica prospettiva della crescita psichica e mentale
-Interventi sulle difficoltà di sviluppo e sul disagio in un'ottica globale e quindi attraverso strumenti come formazione, educazione, sostegno a genitori, educatori, comunità
-Interventi di promozione psichica nei luoghi di crescita, di sofferenza e di disagio del bambino/adolescente (famiglia, scuola, quartiere, ospedale), con attenzione particolare alle vecchie e nuove fasce deboli
-Quindi è indispensabile l'autonomia funzionale ed operativa, sia per la realizzazione del lavoro per progetti e per ricerche, sia per la formazione interna alla nostra professione

CONCLUSIONE
-Bisogna chiedere l'istituzione a livello nazionale, per ogni Azienda, di un unico Servizio di psicologia per l'età evolutiva
-Bisogna sostenere l'intervento psicologico per l'infanzia attraverso la creazione di un più generale movimento culturale per il bambino e i suoi diritti
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